13 dicembre: tutte a Cagliari!

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Il 13 dicembre saremo a Cagliari, dopo Capo Frasca, per ribadire che la vita di questa terra e le nostre vite rifiutano di dipendere da chi produce morte. Con lo spazio pubblico autogestito di Respublica abbiamo contribuito a spiegarne le ragioni.

Siamo venuti fin qui perché rifiutiamo l’imposizione delle servitù militari come barriera fisica e culturale. Fisica è l’occupazione di porzioni estese di territorio che ci vengono espropriate, negate e compromesse dal punto di vista ambientale. Culturale è l’assoggettamento a sistemi economici di dipendenza, che ci imprigionano nella ripetizione di relazioni servili con il potente di turno. Le servitù militari sono servitù culturali perché assoggettano le popolazioni a sistemi economici vincolanti, rendendoci servi sia di decisioni che non abbiamo preso, sia della mancanza di fiducia in noi stessi come singoli cittadini e come abitanti attivi del nostro territorio, una mancanza di fiducia che da troppo tempo ci fa credere di essere incapaci di prenderci cura di noi e ci fa delegare il nostro presente e il nostro futuro.

Noi, al contrario, vogliamo accettare il testimone della perpetuazione di uno stile di vita che ha alla base la salute, la sicurezza e la sovranità alimentare, il potere espresso dalle comunità e dai popoli di decidere per sé cosa produrre, cosa mangiare, come lavorare, come prendersi cura del territorio in cui vivono, come vivere e cambiare le aree urbane e rurali attraverso pratiche sociali, artistiche e culturali libere e indipendenti.

Allenando e accrescendo, ogni giorno, la nostra forza d’animo e prendendoci cura del territorio in cui viviamo, attraverso l’autorganizzazione, la responsabilità, l’abbandono di ogni delega, decidiamo consapevolmente di partire da noi, da quello che abbiamo e non da quello che abbiamo perso, che ci hanno tolto o che ci vorrebbero togliere; la realtà non ci fa paura, perché, seme dopo seme, passo dopo passo, vogliamo iniziare ad affrontarla e a sperimentare.

Da un lato sempre più persone decidono di dedicare tempo, energia e passione alla scoperta delle periferie, delle aree rurali, delle pratiche legate alla plurimillenaria cultura contadina e pastorale. Con uno sguardo sempre più attento cogliamo l’armonia e la complessità degli eco-sistemi e ci accorgiamo che è bene imitarne e apprenderne la resilienza, la capacità di adattamento, l’insegnamento di relazione e cooperazione che oggi applichiamo unendoci. Scegliendo di tessere nuova trama, sull’ordito della storia dell’isola.

Dall’altro cerchiamo di introdurre anche nella città pianificata controspazi, in cui essere abitanti di un centro urbano assume caratteristiche ricche e complesse che si esplicitano in forme di resistenza allo sviluppo neoliberista, attraverso pratiche relazionali autonome, che cercano di recuperare un’ idea di socialità e di presenza r-esistente che rifiuta la logica della “fruizione passiva” della realtà e della città in favore di un’azione che ci renda agenti attivi all’interno degli spazi che ogni giorno attraversiamo e viviamo, per contribuire a renderli non solo oggettivi ma anche soggettivi.

E così è la separazione tra città e campagna a venire meno mentre da un capo all’altro dell’isola, giovani energie passionarie si incontrano per onorare la diversità e l’abbondanza della vita sulla terra sarda.

Abbiamo iniziato a pensare ad alcune colture sarde, capaci di riportare la sovranità alimentare e ridare ai semi e alla terra la dignità di beni comuni scardinando i brevetti delle multinazionali: la lana (tessitura, uso edile), l’agricoltura sostenibile (i semi autoctoni, la frutta, la fauna, in generale la biodiversità e le filiere agroalimentari locali), l’artigianato (da introdurre nella vita quotidiana), i beni culturali (archeologia, turismo sostenibile, musica popolare, lingua sarda, poesia, etc…), la pastorizia (il formaggio e le sue decine di ricette), le erbe (uso culinario, erboristico, tessile, per la cestineria, etc…), l’edilizia tradizionale (terra cruda, bioedilizia, etc…), il patrimonio boschivo (protezione e ripiantumazione), le spiagge, il mare e le coste (pesca, gioielleria, etc…), la cucina popolare (fiducia nel ricettario storico, con radici locali ma animo curioso), l’olivo, la vite e il vino…

Sono semi ereditati, semi preziosi, antichi, forti, adattatisi nei secoli ai territori che li vedono invecchiare e rinascere. Pensiamo che ciò che appartiene alle nostre tradizioni sia un divenire, una risorsa da portare nel nostro contemporaneo, che il presente sia solo uno dei futuri possibili del passato, che esistano filiere sostenibili che si adattano ai nostri tempi e ci mostrano un tipo di sviluppo possibile, il quale va aldilà delle classica scelta tra una forma e l’altra di servitù che dall’alto continuano a proporci.

Forse pochi di noi hanno la fortuna di aver ricevuto uno di questi semi, da piantare, far germogliare e crescere fino a dar frutto, riprodursi e propagarsi… ma su questa ricchezza, sui nostri “semi” si basa il tessuto comunitario.

  1. su chi ancora non ha, ed è disposto a ricevere, aiutare, condividere.

  2. su chi ha, ed è disposto a dare, aiutare, compartecipare.

Compartecipare l’abbondanza del vicino, azione normale nei rapporti consuetudinari di vicinato attivo.

Dunque esortiamo ogni giovane uomo, ogni giovane donna a essere e diventare un individuo integro e responsabile, meritorio/a di fiducia; una umanità che si assuma la responsabilità totale della custodia della propria terra.

Perché ci si possa incontrare, in cerchio, come liberi individui, accogliendo comitati, famiglie, appassionati/e, gruppi di famiglie di città, che vogliono scegliere, cambiare, studiosi che vogliono aggiungere dedizione, ma anche mani per lavorare.

Esortiamo ogni uomo, ogni donna a occupare gli spazi fisici e mentali penetrando nei territori e nelle città, attraverso una diffusione di pratiche contemporanee che spingano gli abitanti ad affacciarsi su approcci innovativi di conoscenza in continua connessione con altre realtà.

I metabolismi urbani, intesi come flusso di energie e materiali attraverso un ecosistema urbano, sono attualmente lineari: gli input sono trasformati in energia utile o in strutture o mercificati, quindi si trasformano in rifiuti e vengono espulsi dal sistema urbano. Promuoviamo invece un abbandono del modello lineare puro per proporre modelli circolari che costruiscano una continuità tra risorsa e rifiuto. Modelli circolari che interesseranno ambiti alimentari, agricoli, energetici, culturali, sociali, artistici e musicali, attraverso una contaminazione di saperi che da individuali e marginali vogliono diventare collettivi e centrali.

Proponiamo possibilità altre di produzione di alimenti, di energie, di software, di arte in tutte le sue forme: visive, plastiche, performative, cinematografiche, nel rispetto delle possibilità e delle attitudini di ognuno.

Sappiamo di essere lontanissime dai semi biotech, dal transgenico, dalle monocolture industriali, dai veleni, scegliamo ogni istante di esserlo. Non crediamo di vivere in un territorio appiattito al terziario, fondato su forme di sfruttamento esplicite o nascoste, reso sterile, svilito dall’emigrazione dei suoi abitanti, perché si potesse spremere e utilizzare come serbatoio di bombe e sperimentazioni belliche. Siamo qui, siamo tornati.

Abbiamo la fortuna di tenere in mano i nostri semi, millenari, che con le loro forme mai uguali, ci suggeriscono, silenziosamente e pazientemente l’insegnamento di una legge, che è l’immortalità di questi saperi, di queste forme di r-esistenza.

Affermare il potere di scelta sovrano delle comunità, il potere di scegliere di produrre quello che veramente alla comunità serve. E di farlo con lentezza, a piccoli passi, sperimentando e godendo il cammino e…se una lotta c’è, sia quella di considerare ancora questa forma di vivere come “normale”.

Molti tentano di porre, in questo passo della storia, un velo nero di paura. Ma noi veniamo da una storia di paura e di terrore. Sappiamo che chi ci vuol mettere paura, non ha l’intento di difendere la nostra ricchezza, ma quello, di trasfigurarne la verità, privatizzarla, brevettarla, mercificare i beni comuni. È la loro guerra a fondarsi sulla paura, arma al servizio di chi ha il potere, nutrita dalla costruzione di nemici sempre nuovi. A noi non serve nessuna guerra, non abbiamo nemici da immolare come capri espiatori, alla loro guerra contrapponiamo le nostre lotte, che sono lotte che rivendicano il diritto a vivere con dignità, a riprendere quello che ci viene tolto quotidianamente.

È con il coraggio e con la riconoscenza per i regali abbondanti che la natura ci fa ogni giorno, che trasformiamo la paura in coraggio, che diventa scelta, che diventa responsabilità, responso habilis, risposta abile e saggia a ogni tentativo di sopraffazione e sopruso. Siamo definitivamente tornati.

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